è questa la fine dell’uomo tecnologico?
Voci e corpi: accostamenti di materiali distanti tra loro, contrasto tra il carico emotivo-interpretativo e qualità dei danzatori che invece sono assolutamente scarni, minimali, non c’è esposizione. Due accezioni dell’agire: quello suggerito dalle voci iper connotato, enfatico, emotivo, quello dei corpi astratto e seriale.
Il lavoro riguarda in qualche modo la costruzione di frasi, intese sia come strutture coreografiche che come strutture del linguaggio. Le voci, ricavate da un universo filmico fatto di opere di genere “apocalittico” realizzate tra gli anni ’50 e gli anni ’70, e seppur nella diversità di stile, doppiate spesso dagli stessi attori italiani, rimandano ad un carattere affettato, appartengono ad un posticcio cinematografico che si incolla e che si scolla dall’azione, rimandando continuamente la possibilità di una narrazione, di una storia lineare, e favorendo, piuttosto, un sistema di risonanza reciproco tra soggetti e oggetti, tra voci e corpi, in cui i suoni e le voci stesse viaggiano nello spazio, quello “reale” e quello dell’immaginario, o meglio, degli immaginari generati da presenze sonore così artefatte e spossessate, che danno molto da vedere, continuando a dirci, invano, cosa fare e dove andare o a dichiarare apertamente, pieni di contraddizioni, la nostra condizione attuale.
Qualcosa s’incolla all’azione, sembra la sua didascalia, qualcos’altro sfugge e resta solo suono, intonazione.
Del primo film da cui abbiamo estratto voci e suoni è quel corpo appeso, in bilico, alla corda di un cappio che, con il suo cigolare fragile, ci ha fatto da basso continuo, da habitat sonoro, sospesi, a tempo indeterminato, intorno a quegli infiniti ultimi istanti.
https://soundcloud.com/dehors_audela/gli-ultimi-istanti
Si genera uno scarto, talvolta ironico, un procedimento duchampiano di spostamento, all’interno del quale passano dichiarazioni di poetica enunciate tramite la voce altrui e poi storie che rinviano a un paesaggio mentale, che si nutrono del fuori campo, dell’aldilà della scena.
La stessa voce spesso doppiava attori o attrici diverse. Ancora corpi spossessati d’un senso. Da qui l’ambiguità del sembrar d’essere sempre dentro lo stesso film, la stessa storia. Una continuità artefatta, un logoramento della linearità della scena, dell’azione, della narrazione.
Qui un montaggio di voci/ versi da alcuni dei film usati, estratti da Il pozzo e il pendolo, Roger Corman, 1961, con le voci di Emilio Cigoli (Vincent Price), Fiorella Betti (Luana Anders); Gli spostati, John Houston, 1961, con le voci di Emilio Cigoli (Clark Gable), Rosetta Calavetta (Marilyn Monroe), Gualtiero De Angelis (Eli Wallach); Gli occhi della notte, Terence Young (1967), con le voci di Gabriella Genta (Audrey Hepburn), Gigi Proietti (Alan Arkin), Walter Maestosi (Richard Crenna).