
appunti di pratiche
IL RISO
Dinamica nella dinamica e anche rottura nella rottura.
Il riso comincia con una vibrazione, un sobbollimento. Qualcosa lo trattiene sempre all’inizio. Una materia specifica che speciale, che si nutre degli ostacoli che incontra, dei divieti – convenzionali e sociali – che ci vorrebbero seri. Così più lo trattieni e più è più potente.
Quando la dinamica ha inizio, è come una grande montagna russa. Un saliscendi.
E lì arriva il ritmo, la musica e si apre la possibilità di articolare variazioni sul tema.
In due il gioco apre le sue infinite possibilità. Può diventare anche molto sofisticato. Per poi tornare velocemente o repentinamente a dichiararsi sciocco, vuoto.
Una dinamica che parte con la consapevolezza di ciò che ci fa ridere per poi a tratti o del tutto svuotarsi di senso.
Ice_scream, Trickster / Teatri di Vetro di Vincenzo Carboni_PERSINSALA
Nel lavoro di Giselda Ranieri, Ice_scream, i corpi dei performers si lasciano giocare nell’omofonia tra ice cream (crema gelato) e I scream (io urlo). Se l’animale umano col linguaggio sa dissimulare la propria parte istintuale, sa mentire, sa ingannare, tuttavia l’arte è la forma più sublime di menzogna, tale che i due performers si sperimentano tra il piangere e il ridere, tra la disperazione e l’ironia, cercando un registro che possa dare conto di una disperata autenticità. Il suono, prima ancora che la voce, chiama il corpo a seguirlo, tanto che non è la razionalità locutoria dell’Io a tracciare la rotta, ma l’appello segreto al fondo del soggetto, che si dibatte tra le proprie miserie senza considerarle materia, scarto o-scenico (fuori scena). Il grido o il riso, quando davvero sale dal proprio fondo abissale, ricrea il contatto con le superfici (la terra, l’aria, le pareti, la pelle dell’altro) così da restituire i confini del corpo al di fuori da uno specchio immaginario.
Il soggetto è autocosciente perché esiste un altro umano, autocosciente a sua volta, capace di riconoscere il grido e rispondere (consolando, traducendolo o gridando in due). Ciò che esce dal gioco antropogenico mai concluso è il rilancio dell’emozione come una palla, perché il partner ne sappia far pur qualcosa di questo corpo sonoro, materico come pietra. I corpi si ingaggiano sul limite oltre il quale la fiducia di essere malgrado tutto raccolti, resiste, quand’anche fossimo fatti d’acqua.