FABRICA di Paola Bianchi al 25° Danae Festival – Un gesto politico ed estetico
Stella Civardi – 4 novembre 2023 – birdmenmagazine.com
Da sabato 21 ottobre fino al 5 novembre si tiene il Danae Festival, giunto alla sua 25^ edizione: dal 1999 al 2023, il percorso di crescita di una vita ormai adulta. Ogni traguardo favorisce uno sguardo circolare e comprensivo tra quello che è stato a quello che sarà: da qui la scelta di aprire il Festival con le nuove progettualità della performer Paola Bianchi, che aveva inaugurato la prima edizione del 1999.
Se le parole custodiscono in sé il senso delle cose e dei luoghi, appare chiaro il legame tra le azioni coreografiche di FABRICA e lo Spazio Fattoria della Fabbrica del Vapore di Milano, dove avvengono. Fabrica – con una sola b come precisa Paola Bianchi – in latino significa “lavoro” e infatti le azioni di FABRICA rientrano nel progetto ELP | CORPI DEL LAVORO: un’indagine sui corpi trasformati dal lavoro fisico e intellettuale, salariato e a rischio economico. La performer, Paola Bianchi, durante un periodo di residenza artistica, è entrata in contatto con i lavoratori di diverse generazioni di fabbriche e aziende: i loro corpi sono un archivio fisico, hanno memorizzato una partitura di gesti – quella imposta dal lavoro ed eseguita ripetutamente in quella dimensione. A Danae Festival, in anteprima sono state portate le indagini svolte nelle città di Genova e Vicenza.
FABRICA 16100 [Genova] si ispira alla storia di Luciana, operaia alla catena di montaggio del Tubettificio Ligure. La coreografia inizia con Paola Bianchi seduta su un alto sgabello: la performer lo sposta con movimenti scomposti e irrequieti che rimandano alle difficoltà pratiche della lavoratrice che agisce dentro la catena di montaggio. Questi gesti segmentati, che trasudano fatica e alienazione, si amplificano ma non sono mai imitazione della realtà lavorativa della fabbrica: appaiono al contrario destrutturati, privati della produttività tipica del lavoro volta a confezionare un prodotto. L’azione procede per montaggio: la realtà frammentata viene riassemblata, e così si ottiene la performance artistica, che non è rappresentazione della realtà ma un suo richiamo. Partito con l’intento di indagare l’industria tessile vicentina, lo studio si sposta sul settore della logistica in FABRICA 36100 [Vicenza]. Qui le pratiche di lavoro di ieri e di oggi si incontrano nella stessa cifra frammentaria dei gesti, che scompongono una realtà lavorativa in trasformazione e la restituiscono nella sua realtà precaria e non riconosciuta. La partitura sonora accompagna quella fisica: stralci di radiogiornali, di interviste, di dichiarazioni che insistono sul tema del lavoro accompagnano i movimenti della performer e sottolineano il conflitto tra una memoria fisica (che ha incorporato posture stereotipate) e una creatività vitale che tenta di liberare il corpo da questi condizionamenti dettati dal lavoro quotidiano. La danza diventa gesto politico che può o sottomettersi al sistema vigente e persino opporre resistenza, mostrando un futuro possibile. Non stupisce che per Paola Bianchi lo spettacolo si faccia progetto: l’attenzione si focalizza sulla dimensione processuale che permette una prospettiva di indagine della realtà costantemente aperta all’ascolto delle sue componenti. La performance finale è solo uno dei tanti punti che costituiscono il disegno completo della sua progettualità che infatti l’artista si propone di portare avanti, presto forse anche con una tappa milanese, magari nell’ambito del nascente settore digitale. La danza di Paola Bianchi racchiude in sé un fattore micro politico che aspira al cambiamento: il corpo della performer incarna il portato personale dei lavoratori e delle lavoratrici che ha incontrato, così da esprimere questa tensione tra movimenti condizionati dalla routine lavorativa e gesto liberato della danza. L’insieme di queste micro resistenze – per dirla con le parole di De Certeau – del singolo porta a un cambiamento su scala collettiva. La danza diventa una pratica che interroga altre pratiche, senza la pretesa di imporre un ordine prestabilito, ma configurandosi come veicolo liberatore di senso: si fa carico del gesto produttivo, trasformandolo in gesto politico liberato e aperto a un futuro possibile. Uno dei futuri possibili è quello che ha preso vita alla Fabbrica del Vapore: una fabbrica di prodotti che diventa fabbrica di processi culturali.