Non si teme il proprio tempo è un problema di spazio
Lo spettatore a questo punto si rende conto con sorpresa che a catturare la sua attenzione non è soltanto l’animazione di immagini che era abituato a considerare immobili. Si tratta, piuttosto, di una trasformazione che concerne la loro stessa natura. Quando, alla fine, il tema iconografico è stato ricomposto e le immagini sembrano arrestarsi, esse si sono in realtà caricate di tempo fin quasi a scoppiare e proprio questa saturazione cairologica imprime loro una sorta di tremito, che costituisce la loro aura particolare. Ogni istante, ogni immagine anticipa virtualmente il suo svolgimento futuro e ricorda i suoi gesti precedenti. (Giorgio Agamben, Ninfe)
Pose, figure, cambio di orientamento della stessa azione, offrire allo sguardo l’altro lato, il profilo, ciò che sta dietro. Appiattire, non essere tridimensionali, per una volta: come spiare dal buco della serratura e avere solo un’idea parziale di quello che accade. Non essere immersivi, non occupare lo spazio, non far nascere il movimento dal centro, essere periferici nel gesto e nello sguardo.
Dialettica tra stasi e movimento, l’immagine è ferma ma muove sempre qualcosa. Trattenere, tanto il fiato quanto l’azione. Estendere la pratica dell’apnea all’intera struttura del dispositivo.
Nell’andirivieni tra linguaggi (video, fotografia, performance) ciò che è fisso si anima e ciò che si muove viene immortalato. Lo spettacolo dal vivo scalfisce e fa franare ogni resistenza alla messa in posa, combina l’ossessione della posa perfetta, congelata, con il suo agente patogeno, il movimento stesso, come disgregatore perturbante di ogni forma chiusa, di ogni formula vincente, nell’ambiguità tra vero e falso, nella soglia tra azione e ripetizione, tra messa in scena e tempo della ricerca.
C’è un sentimento che parla dietro a tutto ciò che abbiamo tentato di dire fino a qui: si tratta del pudore. Una tonalità del sentire difficile da catturare, che qui avvicineremo […] per cogliere quell’andamento oscillante che essa inaugura preparando il suo superamento. Dal punto di vista di un andamento lineare della temporalità […] l’esperienza del pudore sarebbe inconcepibile perché essa implica piuttosto che il dopo sia anche l’origine con l’unica differenza che all’inizio esso induce alla schermatura e alla fine sollecita una caduta. […] Ci accorgiamo di essere immersi in rapporto tesissimo di tendenze e controtendenze spiegabili solamente a partire da questo particolare modo di intendere la temporalità-In fondo, a ben guardare, il sentimento del pudore si caratterizza come un desiderio impellente di coincidere con ciò che, di fatto, con la stessa forza e risolutezza, viene schermato e velato. Siamo in una condizione di perfetta simultaneità di istanze contraddittorie (Silvia Vizzardelli, Io mi lascio cadere)