Sulla scena gli appunti di un incontro tra la vita e le opere della poetessa iraniana Forugh Farrokhzad e le memorie personali delle artiste coinvolte. In mezzo il teatro, spazio per cucire e dipanare un intreccio di risonanze, suoni e ricordi, attraversati da diverse geografie, lingue, piani temporali. La condizione di spaesamento, l’esilio, esistenziale e reale, causato dalla violenza di condizionamenti sociali ed economici, familiari e culturali, religiosi e di genere, che fa sentire senza casa e dunque senza corpo, uccelli chiusi in una gabbia, risuona nelle opere e nella storia di ribellione e di ricerca di libertà di Forugh. Tra letture, musica e immagini, lasciamo sulla scena i primi appunti di un nostro personale ritratto di Forugh, i primi passi del progetto “Io parlo dai confini della notte”, un nuovo viaggio alla ricerca di un abitare profondo dentro se stessi, e fuori da sé come parte attiva della società. “Mi sono incamminata da sola. Come una bambina che si perde in una foresta. Mi sono diretta in ogni direzione per fissare ogni cosa e lasciare che tutto mi catturasse, finché non sono arrivata a una sorgente in cui ritrovare non solo me stessa ma anche tutte le esperienze della foresta.”
Pianterò le mie mani in giardino
crescerò rigogliosa, lo so, lo so, lo so,
e le rondini deporranno le uova
nelle pieghe delle mie dita
sporche d’inchiostro.
Incollerò alle mie unghie
due petali di dalia
e appenderò ai miei lobi
due rossi orecchini
di due rosse ciliegie gemelle.
Forugh Farrokhzad