Ho testato fisicamente su di me l’urgenza dello “spostamento” forzato, la fuga, lo stare in attesa prima della partenza, l’esilio…. Lasciare un territorio costruito da un’intera comunità, incluso me stesso, lasciando anche abitudini, relazioni e impegni. Il cambiamento ha prodotto effetti (incidenti, disastri …) che mi hanno costretto a spostarmi. È proprio questa l’idea di spostamento che io sperimento su me stesso attraverso questa creazione. Quale può essere il movimento quando non è volontario? Che cosa è quel corpo che è costretto a muoversi, o a volte a rimanere immobile? Come si muove l’individuo dopo essersi trasferito in un nuovo contesto che gli impone di rimodellare il suo territorio, per tentare di ricostruirlo, e quindi ricreare una nuova identità, che forse dovrà però lasciare di nuovo? Questo è un processo permanente di costruzione e decostruzione.
Questo assolo affronta temi quali lo “spostamento”, forzato o volontario che sia, l’urgenza o la costrizione a muoversi, il bisogno di partire e l’ansia di non poter fare ritorno.
Ciò che mi interessa è la relazione tra i due luoghi, quello originale e quello che abbiamo dovuto scegliere, che produce un corpo lacerato. Non siamo più nel primo luogo, e nello stesso tempo è impossibile costruirne uno nuovo. Sentire che siamo in un peregrinare senza fine, che essere in transito diventa il nostro stato quotidiano. Siamo bloccati tra il punto di partenza e di arrivo, proprio lì in mezzo.