Il clown è una questione terra terra: fai ridere / non fai ridere, ma come arrivare ad ottenere quella risata? E di quale tipo di risata si parla? Una risata non cinica, né sarcastica, né semplicemente ironica. Nel clown si tratta di una risata intima, poetica e al tempo stesso universale, in quanto sintesi di più piani. Ottenere quella risata in improvvisazione a volte è facile, ottenerla una seconda volta, riprodurre l’accadimento, è solitamente molto difficile. Noi in due giorni non ce ne preoccuperemo troppo, ma non ce ne scorderemo, lavorando su una condizione di apertura radicale.
Per far ridere semplificando il discorso possiamo dire che l’acquisizione di strumenti tecnici è fondamentale. Compiere un’azione di rottura nel giusto timing per esempio, saper cadere in un certo modo e tempo, riuscire a creare l’imprevisto, esasperare dei movimenti… Ma c’è anche e soprattutto la vita, il reale come primo motore: in fondo la vita può anche esser vista come un susseguirsi di numeri clown. A differenza del comico un clown non vuole far ridere, possiamo dire che per errore ci fa ridere grazie a qualcosa che intralcia i suoi piani e che sospende l’azione o la capovolge, o che lo costringe a esitare. Un@ clown ci tiene a far bene e, proprio perché ci tiene, sbaglia. Come quando siano innamorat@ e usciamo per il primo appuntamento, vogliamo fare bella figura, dare il meglio di noi, ed è proprio in quel momento che siamo più esposti alla fallibilità. E il clown gioca con la fallibilità, con l’inciampo, sosta nelle propria vulnerabilità, indugia.
Noi indugeremo ispirandoci a uno dei più grandi maestri, un clown così umano troppo umano da essere quasi un alieno, oltre il clown: Buster Keaton.