LANDED: COME UN FILM DIVENTA AZIONE ARTISTICA SUL TERRITORIO

Migration Dance Film Project (MDFP)

Migration Dance Film Project nasce dalla collaborazione creativa tra due pioniere che infrangono le convenzioni delle rispettive pratiche artistiche: la regista di screendance Marlene Millar e la coreografa di danza percussiva Sandy Silva. Le narrazioni performative, simili a poesie liriche, seguono un gruppo di dieci danzatori-cantanti in viaggio, dove canto, ritmo e movimento ci avvolgono in un percorso collettivo, guidato da una potente trama radicata nella migrazione — intesa come movimento attraverso il viaggio. Il suono gioca un ruolo altrettanto centrale nello sviluppo di queste storie, in cui la connessione sonora dei performer con i paesaggi e le superfici attraversate diventa parte integrante della narrazione, tanto quanto le immagini visive mozzafiato.
I film esplorano l’esperienza migratoria vissuta dagli artisti e dalle comunità coinvolte — narratori nomadi uniti da una conoscenza intima delle esperienze individuali e condivise. Emergono nuove interpretazioni tra forme astratte e silenziose, e la forza personale che lo spostamento imprime profondamente.
La coreografia di Silva si traduce attraverso la camera di Millar in una risonanza porosa e persistente, dove il design sonoro e il montaggio si fondono in una convergenza viscerale che apre a possibilità nuove — offrendo un’intimità impossibile da cogliere su un palcoscenico dal vivo.

The migration dance film project is the creative collaboration between two pioneers breaking conventions within their respective artistic practices: screendance film director Marlene Millar and percussive dance choreographer Sandy Silva. Performance-based narratives as lyrical poems — follow a cast of ten dancer-singers as they travel where song, rhythm and movement envelope us through communal voyage and the powerful storyline anchored in m i g r a t i o n — movement through journeying. Sound plays an equally prominent role throughout the progression of these stories where the performers’ sonorous connection to the different landscapes and surfaces they navigate are as telling in narrative form as the deeply breathtaking visuals.
The films explore the migratory experience for the artists themselves and the communities engaged with — nomadic storytellers connected by the intimate knowledge of individual and shared experiences in unison. Renewed interpretations between hushed abstract formations are captured and the defiant personal gravity that displacement deeply imprints.
Silva’s choreography translates through Millar’s camera in a porous lingering resonance, an assemblage of sound design and montage all reside as a visceral convergence that the opening of possibilities allot — offering an intimacy impossible to see or hear on a live stage.

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