L’essere umano è molto spesso come in bilico fra due infiniti: l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.
Blaise Pascal
Rappresentare grandi storie attraverso corpi minuti è ciò che muove la tradizione dei pupi da secoli, inglobando le avventure, le sconfitte, le vicissitudini o forse più semplicemente le vite di persone e personaggi in scala ridotta. Con i loro corpi, retti da fili e attraversati da un’asta di ferro dal cranio al bacino, i pupi tentano di rispecchiare l’essere umano tanto a livello strutturale quanto metaforico.
Quel che accade nel processo coreografico è una trasformazione all’inverso, la visualizzazione di una linea sottile che mette in discussione l’istantaneità dell’agire, in cui rintracciare le possibili declinazioni di movimento nella postura del pupo. Partendo da questa immagine di fondo, il danzatore entra nella forma del pupo, fa propria la sua postura, si muove in autonomia pur rimanendo mosso da altro: è dunque sia puparo che pupo di se stesso. Calata in una dimensione narrativa, la caratterizzazione del gesto si fonde con la ricerca del personaggio che segue il filo ideale di una storia, quella dell’Orlando Furioso. Un racconto camuffato, fatto di substrati comici e drammatici, di paesaggi che compaiono e scompaiono all’istante, diventa l’occasione per approfondire e dettagliare le dinamiche spaziali e temporali utili per far emergere una qualità di movimento che possa richiamare il pupo. Lavorando sulle sospensioni, sull’idea di essere mossi dall’esterno, sulla riduzione dello sforzo muscolare a favore delle articolazioni, sul contrasto della forza di gravità, la scena abitata dai pupi si muove fra tensione e leggerezza, un luogo dove poter esplorare i racconti che ogni individuo porta con sé.