Una rissa è una partita di cui ci si è persi l’inizio.
Chi la guarda passare, chi invece la prende per mano e la vive.
È un conflitto irrazionale che non ha solo la forma dei pugni e dei calci ma anche di una baraonda emotiva. Le parole da nitide si confondono prima in grammelot, poi in brusio. I movimenti e i gesti da concreti e quotidiani diventano astratti, vaghi.
Una bambina si è persa e non trova più Suo padre.
La bambina è solo un punto di vista esterno, invisibile agli spettatori: un’ interferenza. Nella cartina geografica dello spazio scenico tre figure si aggirano in un bar, in un sotterraneo, in una piazza, persino in sé stessi. Diventano un’eco della moltitudine di luoghi e di persone coinvolte, in un percorso urbano sporcato dal caso.
Capita di incontrarsi o di scoprire l’amore dentro una rissa o capita di trovarsi in una situazione diversa dal solito per combattere la noia. È un discorso interminabile, una danza coreografata male, un’urgenza a forma di schiaffi, vitale anche se distruttiva. Una presa di coscienza nell’incoscienza.
Ce l’aveva per mano e non la trova più, nella confusione si è persa.
Come ci sono finita io qui?