La nipote si sforza di ricordare l’infanzia passata a casa della nonna. La figlia si sforza di ricordare gli sforzi
compiuti per stare accanto alla madre anziana e malata. La nonna si sforza di ricordare i ricordi di una vita
che lentamente e inesorabilmente si sta sbriciolando. L’attrice si sforza di ricordare la drammaturgia che ha
scritto. Dove comincia e dove finisce la nipote, e la figlia, e la nonna, e l’attrice? Dove finiscono i ricordi di
una e dove iniziano quelli dell’altra? Dove finisce la pagnotta del pane impastata dalla nonna e dove
cominciano le pareti della sua casa? Confusione. Confusione di ricordi, di scena, di testo, di volti, di vite, di
luoghi, di tempi, di identità. La confusione vive e abita lo spazio scenico, disegnando la storia di una vecchia
donna del Sud che, dopo la perdita del proprio compagno, si è lasciata andare, perdendosi tra le tessere del
mosaico che una volta componeva la sua stessa vita, in quel limbo a lunga conservazione che è la demenza
senile.
“Come stai? Abbattuta al massimo, sempre triste, sempre sola. Ed ero lì da tre ore! L’avrei voluta
ammazzare. Però non bisogna arrabbiarsi perché io so quali sono le sue canzoni preferite. Me le sono
segnate. E gliele faccio ascoltare spesso. Parlano di gioventù perduta e di cuori spezzati e io ho avuto un
cuore spezzato per un uomo che se n’è andato via come Antonio. Io mi ricordo che sono tornata a casa e
non l’ho trovato più. E io dico a mia mamma: “Va be ma dai su è morto da tre anni, su, eh! Eh! Eh…
Eh…Ehm… Ehm… Eh… Ehm, eh?