La prima versione di Post risale al 2010, nata all’interno del progetto europeo “Choreoroam”, una ricerca coreografica che attraversava sei nazioni (Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Danimarca, Croazia). L’idea era allora rimasta incompiuta. A distanza di dieci anni è ricomparso con prepotenza il desiderio di attraversare i flussi di sabbia e ritornare in questa ricerca.
Post ha la fisionomia di un’installazione performativa: un cubo di metallo che non intende delimitare il campo d’azione, ma svelare la condizione umana che racchiude. In un ambiente di fili di sabbia, clessidre che scandiscono il tempo. Questo spazio dall’apparenza effimera fornisce invece la certezza di un edificio sicuro da abitare, nella costanza dello scorrere di tempo, sabbia, movimento.
Post è un lavoro visceralmente legato alla terra, nella quale la performer si immerge e riemerge, senza subirla mai. Anzi, la materia, assorbita dal corpo, ne essuda a sua volta, in un ciclo continuo. Flussi di sabbia o cascate di sassi esprimono la reazione di uno stato d’animo interiore, capace di trovare ristoro anche nel deserto.