Ci siamo chiesti cosa mancasse al festival una volta trasformato da luogo instabile di accadimenti a formato on-line cristallizzato nell’immagine video.
Non certo il suo tempo, reso ancora più articolabile dalle esigenze dettate dal montaggio delle inquadrature e dalla successione di oggetti nel palinsesto giornaliero.
In questo trasferimento ad alto rischio di fallimento, ciò che viene meno è lo spazio – ci siamo detti. Non la dimensione scientifica assimilata indissolubilmente al tempo, ma quello spazio reso tangibile dall’uso, dal tracciato di percorsi di ingresso e di uscita degli spettatori, dalla frontalità della visione – sempre più rara – o dalla permeabilità dello spazio scenico da parte del pubblico. Quella pianta scenica del festival composta da tutte le varianti possibili e data dal movimento di corpi nello spazio, dal loro sostare secondo le modalità stabilite dalle scelte di prossimità e delimitate dall’architettura già data delle sale del Teatro India. La memoria più viva dell’edizione 2019 …
Così abbiamo pensato che valesse lo sforzo dedicare Porta un pensiero a questo grande assente. Parlandone con gli artisti in una modalità un po’ seria e un po’ no in cinque appuntamenti a scatola chiusa.
Roberta Nicolai e Giulio Sonno