A partire dalle “proteste silenziose” iniziate e archiviate durante il periodo del lockdown, nasce l’idea di un laboratorio, un processo di residenza attraverso cui condividere e sperimentare insieme nuove pratiche di movimento rivolte al corpo vulnerabile, alle sue tensioni accumulate nel tempo, per dare movimento e voce a rivoluzioni rimandate. L’esito finale del laboratorio si propone come una riflessione sul senso di cura, partecipazione, ascolto, cooperazione e guarigione, personale e collettiva.
L’intenzione è di creare un sistema coreografico caratterizzato da continue derivazioni e risonanze, attraversato dai corpi nel loro tentativo di procedere costantemente insieme senza però rinunciare alla propria esperienza ed esplorazione soggettiva. Un ambiente fluido e in continua trasformazione che rispecchi le caratteristiche dei corpi che lo costituiscono. Un meccanismo pensato per attivare l’intero tessuto connettivo, che permette di tradurre in tempo reale il desiderio del corpo di muoversi, di liberare un impulso, e nello stesso tempo di ricevere e incoraggiare l’altro alla costruzione di questa danza liberatoria, vulnerabile e rivoluzionaria. Un luogo dunque, che si compone di discorsi intrecciati, storie di corpi colonizzati che la pelle libera istante dopo istante perchè crollino le difese, e per offrirsi nuovamente al fuori.