FF rifiuta l’utilizzo di un solo linguaggio, non crede al dominio di uno sugli altri.
Trasgredisce per sollevare l’ascolto.
È la somma delle sue parti ma non compone mai un intero.
È un oggetto frammentario ma mancante di nulla.
FF è un suono bianco, continuo, sordo.
FF è un fluido corporeo sinestetico.
Le presenze in azione sono papille tattili, i corpi luoghi di soglia, spazio vuoto al servizio dei sensi.
FF è una partitura in cui la conseguenza non si sottomette alla causa.
FF è una superficie trasparente, per questo non incontra il tuo sguardo.
Nella messa in pratica del lavoro, fino a questo momento, sono emersi dei dati compositivi che vorrei continuare ad approfondire e sperimentare: utilizzare ed investigare la non-frontalità quasi totale dei performer all’interno delle logiche comunicative del black box. Questo dato prende forma dalla necessità di voler far percepire i corpi come degli enti a servizio della visione e non oggetti principi della stessa; l’occlusione di una visione totale e totalizzante e conseguente frammentazione dello spazio scenico, dei corpi e delle azioni dal punto di vista dell’audience; un lavoro compositivo e spaziale che predilige criticamente l’orizzontalità e obliquità degli enti è un dato che continuo a ricercare da tempo, che si manifesta nella modalità di gestione e manipolazione dei props scenici, del corpo, del suono e dello spazio fisico specifico in cui il lavoro è immerso e viene presentato.
I props vengono trattati e manipolati, attraverso una serie di esercizi preparatori mutuati da pratiche preesistenti al fine di creare un rapporto di cura e relazione biunivoca tra performer, oggetti e spazio: una costante trasmissione di informazioni sensibili, sensuali ed erotiche in cui i due enti sono costantemente attivamente passivi e passivamente attivi, osservati e osservatori. Quest’ottica è applicata anche in termini spaziali avendo come referente/performer lo spazio in cui il lavoro prende luogo, ogni spazio performativo viene infatti considerato site-specific e nella sua globalità, non solo nei termini di visione e visibilità dello spazio scenico/d’azione. Ciò richiede una continua rielaborazione di alcuni materiali del lavoro. Considero ogni corpo, oggetto o spazio fisico contenitore di una data temporalità specifica, una stratificazione geologica del vivente “in relazione a…” ( danza ), nelle sue accezioni materiali e immateriali, interne ed esterne, tentando di fare emergere, attraverso azioni performative, gli attributi e attribuzioni che scaturiscono dalla inter-relazione degli enti considerati ( una trans-ecologia iperoggettuale ).