E’stato prezioso nel tempo dialogare con opere di artisti di diverse epoche e contesti storici, che hanno saputo lasciare ai posteri interrogazioni fondanti sulla materialità dell’atto artistico. Mi riferisco nello specifico della mia esperienza creativa ad autori quali Francesca S. Woodman, John Cage, Egon Schiele, Francis Bacon, Maria Zambrano…personalità con le quali ho tentato e tento una terza lingua viva: non la mia, non la loro, ma un terzo territorio alfabetico per fiutare in modo nuovo la scena e la corporeità. Un alfabeto performativo derivato da un impasto di intese, assonanze, attriti, sfocature, perdite, ritrovamenti. Ogni avvicinamento è originato da un’invocazione, un senso oscuro dello sguardo, del guardare e dell’essere guardati dall’opera, dalla fonte visiva, per l’oggetto sensibile che lascia nascosto, dietro, dentro, tangibile nell’ombra. Nel desiderio di un travolgimento, di uno spostamento percettivo. Nell’esporre qualche pagine del diario vorrei osare e ritornare a quel loro coraggio a quella loro audace temperatura nell’esposizione di sè. Condividere, se è possibile, la loro eredità di esseri irriducibili.