Mio nonno soleva dire: “La vita è straordinariamente corta. Ora, nel ricordo, mi si contrae a tal punto che, per esempio, non riesco quasi a comprendere come un giovane possa decidersi ad andare a cavallo sino al prossimo villaggio senza temere che perfino lo spazio di tempo, in cui si svolge felicemente e comunemente una vita, possa bastare anche lontanamente a una simile cavalcata”
Franz Kafka
Una conferenza-spettacolo sul tempo, tra spiegazioni scientifiche, digressioni e clownerie, durante la quale il performer dimentica progressivamente la sua parte, cerca di ricostruirla attraverso appunti e oggetti sulla scena dei quali fatica a ricordare l’utilità, si barcamena a costruire una funzione plausibile alla propria presenza, fino a perdere ogni cognizione di cosa sia lì a fare e chi siano quelle persone che l’osservano. Non un testo/partitura da costruirsi e svolgersi come in un processo di composizione classico, quanto un senso che viene presupposto, che doveva esserci, ma non si riesce a ricordare, in un processo inarrestabile verso la dissoluzione e l’entropia.