Questi sono problemi che vengono posti nell’atrio dell’arte
Edgar Wind
ATRIO è una piattaforma nata per favorire nel tempo la nascita di un contesto di scambio e di riflessione orizzontale tra artiste\i e pubblici diversificati. E’ una occasione di condivisione basata sull’oscillazione tra pratiche e teorie, canalizzata nell’orizzonte delle arti contemporanee, intese nella loro più ampia pluralità di campo.
Atrio vuole configurarsi come un dispositivo mobile, fluido e aggiornabile sia da un punto di vista della modalità di interazione che dal punto di vista dei contesti capaci di accoglierlo. Partendo da tale desiderio non può riferirsi a nessun formato rigido e l’organizzazione della sua arcata temporale e delle sue modalità di elaborazione è immaginata come flessuosa.
Questo Atrio, pur nascendo da un atto di cura individuale, è uno spazio perennemente edificabile e abitabile in maniera corale, che si manifesta, di volta in volta, nella costruzione di una “durata reale”, come la definisce Henri Bergson, ovvero nella possibilità di generare un flusso dell’esperienza in questione il più possibile eterogeneo, non lineare (dunque non astratto) e soprattutto nutrito dalle soggettività di chi lo anima, come prolungamento del campo di presenza e di azione di ciascuno\a. I suoi processi non necessariamente saranno preludio di alcuna opera. L’operosità di Atrio e il suo tempo, rispetto alle logiche produttive usuali, si articola nella dimensione del “prima” e si qualifica nella categoria del “in-sé”.
La prima tappa di Atrio troverà ospitalità nell’ambito del Festival Teatri di Vetro 13 all’interno del progetto Trasmissioni in occasione del quale il coreografo Salvo Lombardo ha invitato le performer Fabritia D’Intino e Margherita Landi a condividere una riflessione e un periodo di ricerca comune sui concetti di trasparenza\opacità e su come la loro opposizione sia (ancora) strumentale per la costruzione di narrazioni e immaginari etnocentrici di questo presente, che continua ad aggiornare, nelle raffigurazioni e nei discorsi i “vecchi” modelli dell’Occidente coloniale.
Durante il tempo di lavoro insieme i tre performer passeranno in rassegna una serie di archivi e di rappresentazioni del corpo che hanno determinato nel tempo un appiattimento delle culture della differenza generando un carattere fisso e universalistico del concetti di identità e alterità.
Tutte le sessioni di lavoro saranno aperte a chiunque voglia assistere e partecipare.