FABRICA è parte dell’archivio ELP | corpi del lavoro che indaga la trasformazione dei corpi che agiscono, che subiscono il lavoro, sia esso statico o dinamico.
FABRICA è una serie di azioni coreografiche che nascono durante altrettante residenze artistiche. Ogni residenza prevede l’incontro con lavoratori e lavoratrici oltre all’analisi degli spazi posseduti dal lavoro. I materiali raccolti vanno a creare un mio solo di danza, un’azione coreografica specifica per ogni luogo il cui titolo riconduce al luogo in cui la stessa viene creata, affiancando a FABRICA il codice di avviamento postale e il nome del luogo stesso. FABRICA porta con sé pezzi di storie personali e collettive, archivi di gesti, parole, suoni e immagini in una connessione che passa attraverso il corpo nella scena.
Ogni azione coreografica è stata sezionata e le posture di cui è composta sono state descritte verbalmente e registrate in voce diventando file audio e andando a costituire un archivio di posture in continua trasformazione.
Le posture presenti nell’archivio sono state poi dissezionate e catalogate secondo una logica anatomica (posizioni del corpo / del braccio destro / del braccio sinistro / del busto / della testa / del bacino / della gamba destra / della gamba sinistra). Le posture sono diventate allora pezzi di corpo separati uno dall’altro che, dopo essere stati mischiati casualmente e registrati in voce, vanno a creare una traccia audio che conduce in eterodirezione. Munita di auricolari ogni performer esegue una coreografia sotto dettatura. Le indicazioni stringenti della voce registrata modificano ininterrottamente la postura dell’interprete assoggettandola a una volontà esterna.
Il caso non rispetta l’anatomia corporea, non ne conosce le possibilità motorie ed è proprio questa la sfida più interessante a un livello interno del corpo. Lo spaesamento costante e la necessità di una reattività immediata generano uno stato di straniamento e richiedono un’estrema concentrazione, là dove viene richiesto non solo di eseguire le indicazioni per come il proprio corpo le comprende, ma “salvare la danza”, e quindi per estensione salvare l’essere umano dalla costrizione delle leggi del potere, troppo spesso arbitrarie e contro la natura umana.
I miei soli di danza finora creati diventano materia viva per la creazione di nuovi dispositivi che si avvalgono di un metodo di trasmissione della danza in cui il mio corpo di coreografa si sottrae alla presa in carico di un modello da imitare e seguire.
Eliminare il proprio corpo significa sottrarsi all’imitazione ridicola del movimento ma non significa escludersi dal processo di creazione. Significa accettare altri corpi senza tentare di plasmarli a propria immagine e somiglianza, dare spazio a quei corpi accogliendone le diversità; significa spingere l’interprete a percepire il proprio corpo come unico; significa aiutare l’interprete a riempire la forma di contenuto, a distruggere la forma per far sì che in ogni istante il corpo sia presente; non significa negare la propria autorialità ma opporsi alla gerarchia di potere.
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FABRICA [ AAMOD ]
Durante il processo di creazione di FABRICA [ AAMOD ] decido di utilizzare le stesse immagini che furono generatrici di un brano coreografico di FIGURA UMANA – Teatri anatomici di Francis Bacon, spettacolo del 2000. Molte di queste fotografie presenti in un vecchio volume furono infatti utilizzate dal pittore per i suoi studi sulla figura umana. La serie di posture per radiografia è un pretesto per portare il dolore e la malattia dentro il corpo nella scena. Ognuna di esse porta con sé il dolore fisico di una parte del corpo, una malattia, una deformazione del corpo.
Il mio modo di incarnare queste posture è molto cambiato rispetto ad allora. La modalità di assunzione passa ora attraverso una dinamica interna al corpo. Il mio corpo si è stratificato di memorie, di archivi, di nodi di senso anatomici.
Il corpo operaio misurato, studiato, isolato, infantilizzato, mutilato. Il corpo operaio schiacciato dal rullo compressore della produttività, di un tempo che è denaro. Il corpo come destino, come fardello da cui liberarsi.
Per Paola Bianchi
Gabriele Germano Gaburro
Comincia con un’ala rotta, il
moncherino d’un braccio contratto,
alzato e calato, alzato e calato per il
segmento d’un corto tracciato, arco di
rigidezza automa. Un deltoide pulsa
d’un battito minore, un nervo un
tendine una fibra, millimetri divergenti
dall’assegnata funzione, eppure
tuttora sottomessi, storditi, assuefatti
alla tesa partitura d’una meccanica
obbedienza. Assurdità di averessere
un corpo, assurdità del copione
prescritto a questa anatomia del
fallimento. Assurdità della posa,
qualunque posa, postura impostata,
impostura imposta, e reiterata,
reiterata, reiterata… potesse il lutto
sospendere la spudoratezza d’ogni
giorno!
S’agita così compresa, composta e
disperata, questa figurina macilenta,
rimpiccolita, soffocata… passerotto
ferito col becco mascherato da un
rovo di ciuffi argentati, che a tratti
trattengono un lucore metallico, come
avendo lungamente assorbito i riflessi
d’una catena. Arrugginita, atrofizzata,
indurita nel suo intimo crampo
alienato, tremata dall’impercettibile
sbavatura d’una vibrazione, che ora
batte il quarto di carne d’una gamba
sola, solo una, separatamente
accennando schisi di membra
discrepanti. Impossibile, il semplice
passo è montagna di conquista. Solo
da ferma si muove, internamente al
suo stare scavata, ganciata sghemba
alla scena nell’estasi interdetta del
gesto crocifisso. Nel calvario di scorci
di carne emaciata s’affaccia un
tramonto negato, l’ingorgo d’un
estuario di tregua. E si trascina, sul
posto si trascina, scarsa di frame, in
slow motion, implosa nell’anse del suo
sfinimento, eviscera il tempo in
scortico vivo d’affondo fino all’off della
potenza.
Non hai più guscio, sei sprotetta, dove
vai? Lumaca secca, senza bava, la tua
scia è agli sgoccioli. Che resta alla tua
fuga? La trascendenza nega l’azzurro
slargato… quale via può segnare il
diagramma di incastri che ti travaglia
ogni moto? Dove spezzare? Cadi su,
da brava, fatti cartoccio, carne di carta
accartocciata, tutta spiegazzata dal
pugno invisibile che ti afferra, grande
mano che attorno ti serra. A terra ora,
un piccione investito pari, a ornare di
disgrazia un guardrail polveroso,
accampata in questo sottotetto, col
rivolo di sangue d’una bandana rossa
che ti ruscella da sotto il petto
schiacciato. Povera creatura
martoriata, povera bestia. Di tua mano
t’appendi all’amo uncinato dell’unghia
come l’abbattuto al paranco, e l’umano
alla coscienza. Parassita della tua
stessa materia! Silhouette del deserto,
la tua ascella di sabbia si solleva e
confessa una duna di monili nel torso
ondulata.
Ora che sei, in fine nera, spenta nello
spento, noi che spettiamo al tuo
sbiadimento cadiamo con te nel
silenzio tuo, essenziale, asciutto,
inciso… e non so quale pazzo, tardivo,
forzato, si sia macchiato le mani d’un
applauso, il primo, il secondo, il terzo…
a profanare il sacro che ti dona morta
alla morte, tutto un vuoto si è gremito
di questa barbara semplificazione…
solo tacere vorremmo e invece giù, a
battere palmi… gesto da copione
d’una catena di montaggio.
BIBLIOGRAFIA
– Gabriele Polo I tamburi di Mirafiori – CRIC Editore
– Vitaliano Trevisan Works – Einaudi
– Luigi di Ruscio Poesie operaie – Ediesse
– Frédéric Lordon Capitalismo, desiderio e servitù – DeriveApprodi
– Francesco Raparelli Singolarità e istituzioni – Manifesto Libri
– Giuseppe Rensi Contro il lavoro – WoM Edizioni
– Mark Fisher Desiderio postcapitalista. Le ultime lezioni – minimum fax
– Joseph Ponthus Alla linea – Bompiani
– Alberto Prunetti 108 metri. The new working class hero – Editori Laterza
– Alberto Prunetti Non è un pranzo di gala. Indagine sulla letteratura working class – minimum fax
– Pietro Pierotti, Marco Revelli FIAT autunno 80. Per non dimenticare. Immagini e documenti di una lotta operaia – CRIC Editore
– Simone Weil La condizione operaia – Arnoldo Mondadori Editore
– Luisa Carnés Tea rooms. Operaie della ristorazione – Edizioni Alegre
– David Graeber Bullshit jobs. Le professioni inutili che rendono ricco chi le svolge e povero chi fa un lavoro vero – Garzanti
– Lucia Tozzi L’invenzione di Milano: culto della comunicazione e politiche urbane – Cronopio