Entract – variazione dal francese “intervallo” – è una sospensione del racconto.
È ciò che vibra tra un atto e l’altro, nello spazio vuoto che separa gli eventi della rappresentazione. È un segno d’interpunzione, è respiro – o apnea.
Due distinte suite intermediali a metà tra scrittura e improvvisazione, dove musica e immagini si de-costruiscono reciprocamente in un dialogo circolare: synth analogici e visual digitali, glitch e pulsazioni ritmiche glaciali, la potenza del suono contro la prepotenza delle immagini.
Delirio di suoni e visioni, Entract cerca non un senso, ma la possibilità stessa di un senso. Il titolo omaggia il film di René Clair del 1924, manifesto del dadaismo cinematografico, elogio alla follia e al nonsense.
A un secolo di distanza, in uno scenario sociale dilaniato dal consumo di merci e immagini, quella irriverente spensieratezza, quella predisposizione al gioco e alla risata si traduce oggi in una nuova e più cupa meditazione sul presente e il futuro dei corpi. Entract, come per antitesi, raccoglie un più antico spirito tragico, per farsi intervallo rituale, elogio funebre della carne e dei sensi.




