Sviluppare un sistema. Il concetto matrice viene agito per quello che è nella sua essenza, ma viene anche scomposto in componenti che addirittura portano apparentemente in altri luoghi. Il contatto si articola in diverse gradazioni che spostano il senso dell’azione, facendola passare così in secondo piano. È la sfumatura che diventa agente drammaturgica, in una scrittura di forme ricompresa dentro il principio generativo.
Le nuances, le sfumature come strumento della non arroganza, della non intolleranza: necessità civica di insegnare le sfumature (Roland Barthes, Lezioni sul neutro)
Epica sgonfiata. Wagner. Un’opera continuamente interrotta, Parsifal. Ironia del fallimento, una danzetta insignificante, giocare a strattonarsi, tenersi su in equilibrio, rotolare, in pompa magna. Dare importanza all’insignificante, metterlo sotto i riflettori.
Epica fallimentare. Noi (non) dobbiamo decider(ci). Tentativi di raggiungere una forma, impossibile da mantenere.
Eroi con il destino segnato, figure incagliate nel momento della sospensione. Eroi che evitano di riuscire, e a cui forse non importa nulla di portare a termine l’azione.
Quale epica può permeare e attraversare oggi l’arte performativa? Quali crociate oggi sono immaginabili per tre danzatori? Quali missioni oggi per tre performer?
Nella nostra ricerca sulla condizione psico-fisica dell’esitazione abbiamo incontrato Parsifal, uno di quegli eroi esitanti che attraversano la storia della letteratura occidentale interrompendo, anche per solo qualche istante, la loro marcia verso la gloria con una fase di sospensione, di interruzione indeterminata dell’azione a favore di uno stato di compresenza di forze contrapposte e di spinte centrifughe che portano verso la paralisi della volontà.
Perché l’hai fatto? Chi sei? Chi ti ha mandato? Chi è tuo padre? A queste domande, nel Parsifal di Wagner – che per il nostro progetto verrà attraversato e trasformato – nella terza scena del primo atto, il protagonista appena entrato dopo aver ucciso un cigno, saprà rispondere, dopo attimi di esitazione, solo dicendo ripetutamente: non so.
Come si può fare esperienza dell’esitazione in un processo creativo in ambito coreografico e drammaturgico? Si può immaginare l’oscillazione tra due volontà solo attraverso l’arresto della “frase” coreografica o ci sono altre vie da percorrere?
Abbiamo pensato ad una riscrittura colma di interruzioni del Parsifal di Wagner come elemento drammaturgico in grado di ribaltare una figura dal portato epico-tragico in presenza ironica, di risoluta stagnazione, incarnata dai tre performer.
La monumentalità dell’opera wagneriana, il suo afflato epico è ripetutamente interrotto, sezionato. Data una sequenza precisa ripetuta, si operano delle cesure al suo interno, il corpo usa varie strategie per evitare, ritardare, questionare continuamente il punto d’arrivo, la posizione, la traiettoria. Da tale ripetizione sono emersi alcuni pattern che vengono isolati dalla sequenza iniziale e inseriti in una nuova struttura.
Le forme rievocano una classicità plastica, in tuta: atletismo e presenza fisica solo accennati, corpi sottratti, sopiti, in balia di un’eroica fallimentare. Al progresso si sostituisce la stasi. Un movimento trattenuto (una tempesta trattenuta) un coabitare di forze contrapposte. Il tempo partecipa nella sua ciclicità inesorabile. Eterni ritorni o rinnovate partenze. False partenze e mancati proseguimenti. Contro la retorica dell’esclamarsi. Un ripartire, ricominciare, stare in mezzo, oscillare, estorcere intervalli all’azione.
La partitura coreografica generata rielabora in parte anche gli scritti di Freud sul Mosè di Michelangelo, un figura colta, secondo Freud stesso, nell’istante della sua indeterminatezza, nel momento in cui interrompe le catene motivazionali tra stimolazione e azione, come una “tempesta di movimento” trattenuta. Questo Mosè ha perso il suo posto logico nel racconto e interrompe il continuo passaggio tra prima e dopo. Segna il punto di indifferenza di tutte le azioni. L’aut-aut dell’azione si riconfigura in un sia-sia che comprende l’opposto di tutte le azioni e di tutti gli impulsi […]
Trasferire una certa tendenza del nostro processo creativo, quella che fa riferimento al montaggio cinematografico e all’uso dell’immagine in movimento come ulteriore corpo in scena, su un piano diverso, più legato alla disposizione dei corpi nello spazio, alla loro distanza dal punto di vista dello spettatore, alla composizione del quadro su più livelli di attenzione: una profondità di campo che lotta con la ricerca di una prossimità, di un sentire con più intensità quel che palpita vicino.