Si intende il lavoro coreografico come meccanismo aperto, rivelato, in cui il piano performativo dei corpi si concretizza senza tendere ad una rappresentazione del corpo-nell’atto-di-mostrarsi e quindi tacitamente compiacente a sostenere un’illusione romantica della presenza. Nella ricerca si è definito un corpo in abbandono -presupponendo l’impossibilità dell’assenza di un io che guidi il movimento, si è cercata la forma fisica più consona a suscitare nel performer una lontananza da sé e dalla propria espressione nel paradosso di un narcisistico sprofondo nel proprio interiore riflettendo in superfice un movimento vacuo-. Partendo dall’interesse per la statua del Bernini, l’Estasi della Beata Ludovica Albertoni, dove la monaca si svuota, si assenta, lasciando il corpo inconsapevole delle sue forme, si è voluto applicare l’elevazione come principio fisico, lavorando sulle mezze punte. Il corpo è quindi in stato di attivazione muscolare e al contempo in defezione per il suo essere altrove. Questa opposizione che spinge il corpo a terra per poterlo elevare è uno dei luoghi dell’indagine. Le braccia, quasi sempre sollevate a trattenere il peso che non è mai in rilascio ma si concentra come dal busto in su. Lo sguardo perso, indirizzato verso l’alto a non focalizzare niente di preciso, a negare la realtà, apre ad uno spazio altro e per questo mantiene lo stato di estasi. La musica, ad un volume sostenuto, è frutto di una scelta specifica a suggerire un dove che non è terreno, sfumando ancora i confini dello spazio scenico. Si vede nella danza la possibilità di poter sparire, uscire dai ruoli di io e l’altro che si instaurano quando due corpi si trovano a condividere lo stesso spazio. La relazione e tutte le sue declinazioni si estinguono dal momento in cui noi non ci occupiamo di “noi”, non ci contempliamo in quanto “noi”, “io” e “l’altro”. Il medesimo concetto è perpetrato da ogni elemento/figura sulla scena: la voce, il movimento, la musica, i costumi partecipano tutti della stessa volontà di essere altrove nella ricerca di una musicalità di scena che porta il corpo, dunque la presenza, ad affievolirsi in favore di una forza maggiore. La musicalità (e non il movimento) è l’essenza stessa dello stare. La colonna sonora contribuisce a rendere musicale il movimento, soppiantando il canale visivo con quello uditivo.