In questi anni di lavoro insieme ci siamo scontrate con le difficoltà legate all’accessibilità alle attività di spettacolo di artiste e artisti con disabilità (in quanti teatri i camerini sono accessibili da persone disabili? E i palcoscenici, sono davvero tutti accessibili? I costi dei trasporti e degli alloggi sono inevitabilmente maggiori: è giusto che gravino sulle compagnie o sugli enti organizzatori? Chi dovrebbe farsi carico di questi costi?).
L’accesso ai luoghi di spettacolo da parte di spettatrici e spettatori con disabilità motoria è stato ormai conquistato. Ciò che invece stenta ancora ad avvenire è un’attenzione ad altre disabilità, per esempio la cecità. Non è questo un esempio a caso perché la mia ricerca ruota da anni intorno alla relazione tra parola descrittiva e danza, svincolando la trasmissione della danza dal modello, ovvero dal mio corpo di coreografa. Nel 2019 sperimentai il metodo ELP con 4 ragazze cieche presso l’Istituto David Chiossone per Ciechi e Ipovedenti. Fu un lungo laboratorio che portò alla creazione della performance ESTI. Ma ancora prima, nel 2014 realizzai NoBody, primo esperimento di coreografia verbale che fu presentato per due anni di seguito al festival Helicothrema. Giulia Morucchio (cocuratrice del festival) mi fece un’intervista ed è interessante leggere cosa risposi nel 2014:
Puoi parlarci di NoBody, l’audio descrittivo molto dettagliato che presenterai al festival? Questo lavoro sembra avere una caratteristica molto teatrale. Quali sono gli aspetti che volevi indagare?
Mi sono chiesta molte volte come portare la danza alla radio, non solo come analisi critica o descrizione sommaria, ma far “vedere” la danza attraverso l’orecchio. Essendo un’ascoltatrice assidua di Radio3 ho spesso sentito il desiderio di ascoltare un radiodramma danzato. Così come è possibile trasmettere uno spettacolo teatrale perché non si può fare lo stesso con uno spettacolo di danza? Certo, la danza è visione, immagine in movimento, è fatta di corpi, di azioni, ma anche uno spettacolo di teatro, se solo ascoltato, perde parte della sua essenza, perde la potenza dei corpi, la loro postura, la loro tensione, la loro collocazione nello “>Ho quindi provato a restituire proprio quello che mi mancava: la visione della scena. Eliminando il tentativo di generare emozione attraverso l’interpretazione e lavorando sulla pulizia, sul rigore, sulla descrizione pura, ho cercato di portare chi ascolta a creare la propria visione emotiva per mezzo di un lavoro di immaginazione muscolare, interiorizzando cioè il movimento. NoBody nasce dalla scena, dal teatro. Ho creato un brano coreografico abbastanza semplice, un solo di danza della durata di dieci minuti, l’ho ripreso in video e ho iniziato a descrivere ogni piccolo dettaglio di movimento. Ho poi chiesto ad alcune persone – professioniste della danza e non – di eseguire i movimenti durante la mia lettura – volevo evitare di dimenticare dettagli, di saltare passaggi importanti nel compimento dell’azione. Ho quindi registrato la mia voce e ho montato i materiali sonori. È nato così NoBody, un progetto di danza verbale, un tentativo di trasmissione della danza, un primo passo per portare la danza là dove non può stare. Make the dance audible è stato l’input di partenza, la frase che ha accompagnato tutto il processo di creazione e realizzazione. La trasmissione della danza senza la visione è il mio obiettivo.
Qualche anno dopo ho creato The Undanced Dance e nel frattempo l’obiettivo iniziava a diventare realtà.
Posso dire che il desiderio di audiodescrivere BRAVE è stato in un certo senso naturale, un passo conseguente di un lungo percorso. La sfida qui è però diventata ancora più grande perché non si trattava di descrivere una coreografia fissata in video, ma di descrivere dal vivo uno spettacolo vivo con tutto quello che ciò comporta (variazioni di tempo, di forme, di movimenti del corpo). Il processo è stato lungo ma estremamente interessante. Insieme a Debora Pradarelli, Isabella Bordoni, Valentina Bravetti e Carolina Cangini, che è anche la voce narrante, abbiamo fatto lunghe sessioni di lavoro. Carolina, Debora e Isabella hanno assistito a molte prove e repliche dello spettacolo, appuntandosi parole, emozioni, frasi sparse. Abbiamo poi sperimentato varie forme, parole, frasi, silenzi appoggiandoci a una ripresa video di BRAVE. Abbiamo chiesto aiuto ad alcune persone cieche proponendo loro una replica a porte chiuse a Bologna, nello spazio di AtelierSì. Le domande sono state molte e ancora non abbiamo risposte per tutte. Abbiamo però capito che è necessario trovare una misura tra la descrizione pura, anatomica del movimento e una descrizione più poetica, immaginifica, così come è importante accompagnare nella “visione” lasciando spazio all’immaginazione, ma nello stesso tempo evitare lunghi silenzi – l’abbandono è sempre in agguato. Così come ogni visione è strettamente legata all’esperienza di chi guarda, anche l’audiodescrizione dipende dal vissuto di chi ascolta, dal suo passato – persone che sono diventate cieche lentamente, oppure di colpo a causa di una malattia o incidente o ancora persone cieche dalla nascita. Ogni storia personale porta con sé un bagaglio di esperienze, impossibile fare i conti con ognuna di esse.
paola bianchi
“Cosa significa portare la danza là dove per suo statuto non può arrivare? Dove l’atto del guardare non è possibile? Sentire (dal greco antico akouō, ἀκούω, ὀσφραίνομαι) significa percepire attraverso la pelle. Come molti studiosi e studiose ripetono da anni e come è stato dimostrato da alcuni studi ed esperimenti di neuroscienza, la danza non viene capita ma compresa, ovvero presa con sé, portata dentro il proprio corpo. Il movimento di chi danza entra nel corpo di chi guarda portandolo a sentire le tensioni del corpo danzante, la sua fatica, la sua fluidità. Emozioni corporee, muscolari. Nella creazione dell’audiodescrizione, abbiamo dunque lavorato su una “traduzione” che generi emozioni corporee e che conduca chi ascolta a un’incorporazione del movimento”.
Paola Bianchi e Carolina Cangini