Roberta – … l’amore fa da pretesto per innescare tutta una serie di giochi di specchi, per parlare del teatro. Questo elemento viene sottolineato da molte recensioni.
Recensione di Andrea Zangari
https://www.teatroecritica.net/2023/12/entertainment-menoventi/
Cosa domanda l’amore? Piuttosto plausibilmente, per Lacan l’amore domanda di mancare all’Altro, quello che ci sta sempre davanti, talmente onnipresente da farsi, appunto, mancanza, allucinazione. È esperienza comune quella mancanza che si fa ossessione, col conseguente paradosso: è possibile amare tanto qualcosa che, pur essendoci sempre, non c’è? Nelle pieghe dell’interrogativo Ivan Vyrypaev misura alcuni paradigmi della rappresentazione teatrale, squadernata come flusso erotico lungo un circuito mai chiuso tra attore-spettatore-personaggio. Due personaggi, un uomo e una donna, vanno a teatro. Tant* altr* uomini e donne, noi, andiamo con loro. Al di qua e al di là di una linea che non c’è ci sediamo, specchiandoci. Tamara Balducci e Francesco Pennacchia prendono posto su una gradinata, mentre il pubblico, ai piedi della tribuna, si scopre forse in scena, dopo aver attraversato distrattamente una quinta de facto. Ma lo spettacolo si svolge appena sopra le nostre teste, in un punto improprio all’altezza dello sguardo di Balducci e Pennacchia, che osservano l’azione invisibile, la commentano, si interrogano sui ruoli e sul confine tra gli (assenti?) attori e i loro (assenti?) personaggi. […]
Intervista di Letizia Bernazza
[…] Come avete sviluppato i temi dell’amore e della vita al centro dell’opera di Vyrypaev? Perché in fondo – come si evince dai testi dell’autore – amare e vivere è nel nostro presente, ma anche nel nostro passato o, forse, né l’uno e né l’altro.
Più che sviluppare, abbiamo probabilmente smorzato questa centralità, a partire dal sottotitolo. L’originale recita “una commedia sull’amore dove tutto è possibile”, mentre il nostro spettacolo elimina proprio quel termine: “una commedia in cui tutto è possibile”.
Il testo di Vyrypaev mi ha coinvolto per la sua interrogazione sulla realtà, per la speculazione filosofica che ci mette di fronte alla vaporosità del nostro “io” e che ci conduce con ironia e intelligenza a ipotizzare che probabilmente “tutto è possibile”.
L’amore resta, è la forza vitale che permette ai protagonisti e agli spettatori di arrivare a queste considerazioni, ma se eliminiamo quella parola dal sottotitolo apriamo la strada ad altre letture. […]
Recensione di
[…] Dopo qualche iniziale istante di imbarazzo – sono loro che guardano noi? Ci vedono? “In scena” ci siamo noi o loro? – la matassa inizia a dipanarsi: i due stanno assistendo ad uno spettacolo che ha come protagonisti un uomo e una donna Margot e Steven, lei ama lui e lui pur essendo attratto da lei pone come ostacolo la presenza di un terzo personaggio che non apparirà mai in scena, sua moglie Rebecca.
In un continuo gioco di rimandi e di rottura della quarta parete, siamo ora sul palco con Steven e Margot e ora in platea con i due attori/spettatori che commentano emozionati e si confrontano sui meccanismi della finzione teatrale, sull’intima natura dell’intrattenimento e sull’eventualità che i due attori sul palco siano realmente innamorati l’uno dell’altra o meno. […]
Sul palco, invece, Steven e Margot sono alle prese con ben altri interrogativi: Steven ama Margot o Rebecca (la grande assente che “conosceremo” solo attraverso i grandiosi racconti di Steven a Margot che ipotizza possa non essere altro che l’ombra della paura di lasciarsi andare fino in fondo ai sentimenti nei suoi confronti)? Si può amare chi non c’è? […]
Roberta – Quello che mi piace è che da quel punto lì a me sfugge dove sta il palcoscenico. Lo spazio in cui agiscono Margot e Steven non sta più in un punto preciso dallo spazio abitato da attori e spettatori in quell’esatto istante e luogo. Lo spazio dove agiscono Margot e Steven sta alle nostre spalle? In fondo alla nostra immaginazione? È davvero una strana collocazione: dove sta lo spettacolo? Fino a quando loro non lo trascinano nei loro corpi, lo spettacolo al quale Lui e Lei stanno assistendo sta come in una voragine. Alle loro spalle. O alle nostre spalle. Ci sono solo due platee e il palcoscenico è dentro una vertigine misteriosa. Man mano che Lui e Lei ci descrivono e commentano quello che stanno vedendo, noi spettatori ci figuriamo Steve e Margot, però non sappiamo dove stanno.
Gianni – Sono nella nostra testa. Il palco e lo spettacolo sono nella nostra testa perché loro ce lo stanno in qualche modo indicando. Forse è uno dei pochi casi in cui conviene guardare il dito e non la luna. Loro indicano uno spettacolo che sarebbe la luna, ma alla fine è forse più interessante il dito che lo sta indicando.
Il dove è importante proprio per come è disposto lo spazio.
Roberta – Il primo frammento video è generativo: due platee. Il secondo frammento è lo sviluppo: nell’abitare quello spazio, lo spettacolo si svapora in un mondo altro e comincia a galleggiare sulle nostre teste.
Gianni – Le domande di Lei sono ingenue ma non sono semplici. Reiterandole Lei ci mette in difficoltà.
Roberta – Lei all’inizio sembra porre delle domande ingenue anche un po’ naïve ma in realtà sono domande centrali e irrisolvibili. Sono la questione. Lui, che cerca di sbrogliare la matassa e tratta Lei da ingenua, poi si incarta, si perde nel ragionamento. La domanda è la Domanda, è Chi va là? dell’Amleto. L’ingenuità è un’informazione che invita gli spettatori a stare in un mood. Anche questo è un meccanismo relazionale e loro, attraverso il modo in cui recitano, ci danno infinite indicazioni su come dobbiamo stare, come dobbiamo collocarci dentro questa vicenda.