tutte derive possibili, a partire da e verso il corpo, quello che scorge
nella danza una potenzialità di discorso sull’essere e l’umano a scrittura “musicale”.
la concretezza poi di questo fenomeno invisibile che continuamente accade,
l’incorporazione, scivola continuamente, si dissolve se non la si convoca, se
non gli si fanno domande. resiste, come ferita, sul corpo, e nel tentativo di trasmetterla, di
far intromettere la traduzione, si rivela oggetto fragile da
condividere. si incontra l’umano poi , pur sempre, e chiedendogli di “giocare” a
una consegna (per lo più anatomica e/o “musicale”), esso emerge timido,
straripa, o urla ovattato, chiuso dall’interno.
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SIMONA SILVESTRI e MARIAVITTORIA RUMOLO IUNCO, coinvolte come osservatrici a Oscillazioni per raccogliere suggestioni da elaborare, in un secondo momento, in forma scritta non delle recensioni, non dei saggi su Teatri di Vetro, ma un Diario, una raccolta multiforme che possa generare un’altra possibile traiettoria di indagine rispetto a quella prettamente corporea, hanno posto agli artisti una questione:
CHE COSA SIGNIFICA PER VOI DRAMMATURGIA E, DI CONSEGUENZA, CHE FORMA ASSUME NELLA VOSTRA RICERCA.
Parlare di drammaturgia rispetto ad un’ “opera prima” significa ragionare a posteriori su un processo di pura scoperta. “Come si fa” certamente non lo si sa mai, lo si scopre sempre facendo, ma in questo caso, ad un primo esperimento di messa in scena, quindi dove il corpo, la musica e la luce dialogano in uno spaziotempo teatrale, non si può contare su alcuna pratica collaudata, alcuno strumento “del mestiere”. (Mentre si incontrano infatti sembrano apparire come tasselli mancanti di un mosaico impossibile). Se includiamo poi anche la domanda – che cos’e la drammaturgia in una piece di danza? – il discorso si fa ancor più scivoloso. (Sappiamo quanta indefinibilità ci sia attorno alle definizioni di dramaturg/drammaturgia nel discorso coreutico). Dov’e quindi la “scrittura” se la danza parla senza parola, dov’e il suo tratto, la sua logica discorsiva? Qual e quella traiettoria, invisibile, che attraversa il corpo-nella-scena, che conduce il suo parlare, e lo fa risuonare di altrove, di corpo-fuori-dalla-scena?
Ora che tornano per iscritto queste domande, il tentativo di retrospezione e di ricercarle al momento in cui sorgevano durante il processo di creazione, di rintracciarne il nesso tra speculazione e concretezza, teoria e pratica.
Perché se la danza e il nostro campo di indagine allora sicuramente significa che l’interesse verte sull’umano e allora il corpo che si mette sulla scena dovrebbe tener conto del mondo, soprattutto lì dove si intravede quella scintilla che ci suggerisce nel corpo, e il suo spazio metamorfico tra dentro e fuori, la possibilità di tessere una trama. E questo anche nei casi particolari, nei fenomeni circoscritti, perché possono risuonare come sineddoche.
Noi queste scintille le abbiamo scorte in dei corpi giovanissimi, posizionati nel sentire contemporaneo, ipersensibili e incattiviti, nell’assembramento di un mosh pit, nella voce manipolata dall’autotune. un universo musicale, che per semplicità diremo “trap”, quindi, ad essere baluginio per intraprendere un percorso di riscrittura dalle fonti, visive, sonore, poetiche, ad una scrittura originale per mezzo della danza. Tra l’idea, o meglio l’apparizione dell’idea in un pezzo di realtà , e il suo atterraggio forse sta la questione drammaturgica. occorreva rispettarlo quel pezzo di realtà , tenerlo in considerazione costantemente durante la creazione, tradirlo o esaltarlo, comunque non perderlo di vista perché e lì che si era scorta la “vita”. Drammaturgia sta quindi tra le maglie fitte ed intricate tra processo e prodotto, tra creazione e rappresentazione, nel micro e nel macro: la scrittura squisitamente coreografica, la composizione sonora e il dialogo tra le loro due “musicalità”; il dispositivo della luce (una sola luce) e la sua strutturazione nel tempo scenico, e poi entrando ancora più dentro, l’emersione di piani evocativi, gli espedienti di citazione, i processi di sublimazione e astrazione delle fonti. Tutto questo si lega quindi necessariamente alla specificità della creazione di FALLEN ANGELS, alla forma che in questo caso si e delineata all’urgenza di certe questioni sia nell’osservazione del presente sia nella ricerca sul movimento che conduciamo come performer/interpreti ancor prima che come altro.